Ho sognato che ti abbracciavo. Ti stringevo e tenevo il mento sulla tua spalla, appoggiavo la mia barba bianca sulla tua barba scura, sniffavo il tuo odore. Eravamo alla stazione. È una partenza, pensavo, perché c’è silenzio e non si muove nulla. Continua a leggere
La ragazza del pullman
Nella primavera del 1985 prendevo tutte le mattine il pullman che da Trani mi portava a Corato, dove lavoravo con Aldo e Tommaso alla distribuzione degli elenchi telefonici. Sul mio stesso pullman viaggiavano gli studenti e le studentesse dell’Istituto d’Arte e tra queste una ragazza che a me piaceva molto. Ogni giorno, quando il pullman arrivava nei pressi della sua fermata, mi sporgevo verso il finestrino per accertarmi che ci fosse. Aver viaggiato insieme per molte settimane, pur senza averle mai rivolto la parola, aveva creato in me una fantasia di vicinanza che non aveva ragione di esistere ma cui, pure, mi ero affezionato. Terminarono quei viaggi sullo stesso pullman e non la vidi più. Due anni dopo, ad aprile del 1987, mentre conducevo un incontro con una platea di ragazze e ragazzi, la vidi in sala. Decisi di fare un piccolo imbroglio e feci in modo di farla capitare “per caso” nel sottogruppo che conducevo io. Il giorno dopo venne a trovarmi nella comunità in cui vivevo e non andò più via. Continua a leggere
Non passa giorno
Uno. Non passa giorno che io non pensi mio padre e mia madre. Non passa giorno che io non senta la mancanza dei miei genitori, una mancanza che ha la forma propria del vuoto e che alimenta un vissuto di incolmabile solitudine. Davvero non passa giorno, non è un modo di dire, è una descrizione. Non è stato sempre così: prima solo ogni tanto pensavo loro e il pensiero era molto diverso e ancor più era diversa la sua risonanza. Cambia il mio pensiero mentre cambio io che penso e cambiano anche loro che non possono più cambiare. Forse vedo cose che prima non vedevo o, forse, non vedo più cose che prima vedevo. Forse guardo me e loro da una prospettiva di cui prima non disponevo o, forse, di cui disponevo ma che non utilizzavo. È forse questo mutato risuonare la mia prematura vecchiaia. Quella vera, intendo, non quella pesantezza che avevo già da bambino e che ha accompagnato tutta la mia vita. Continua a leggere
Sarò come tu mi vuoi
Un signore che aveva appena comprato un asino, mise il suo bambino in groppa all’animale e uscì a fare una passeggiata tenendo l’asino per le redini. Subito si accorse che la gente additava suo figlio e diceva “ma guarda che figlio degenere, lui se ne sta comodamente seduto in groppa all’asino e a suo padre lo costringe a camminare a piedi”. Dispiaciuto per quei commenti ingiusti nei confronti del suo bambino, salì in groppa all’asino e, a malincuore, lasciò che suo figlio camminasse a piedi di fianco all’asino. Aveva da poco iniziato la sua passeggiata quando si accorse che la gente lo additava dicendo “ma guarda che padre degenere, lui se ne sta comodamente seduto in groppa all’asino e al suo bambino lo costringe a camminare a piedi”. Ferito per quei commenti ingiusti nei suoi confronti, prese il bambino e lo mise in groppa all’asino insieme a lui. Contento di aver finalmente risolto il problema si avviò per la sua passeggiata ma subito sentì che la gente additava entrambi dicendo “guarda che padre e che figlio degeneri, se ne vanno comodamente in giro in groppa all’asino e così facendo lo faranno morire” e allora, dispiaciuto per quei commenti nei confronti di se stesso e di suo figlio, scese dall’asino e mise a terra anche sui figlio. Ripresero la passeggiata a piedi tenendosi per mano e tenendo l’asino per le redini. Ma subito la gente disse “guarda che scemi quei due, hanno un asino a disposizione e vanno a piedi”. Continua a leggere
Un padre e cento figli
Ogni giorno il barista mi dice “Un padre campa cento figli, cento figli non campano un padre”. In genere lo guardo e non rispondo. Ogni tanto rispondo “Cresci i figli, cresci i porci”. E lui è contento. Ovviamente nella realtà questo scambio di espressioni tipiche del nostro mondo antico si svolge rigorosamente in dialetto e viene accompagnato da uno sguardo finto scandalizzato e finto risentito. Mio nonno diceva anche “Figli e nipoti, tutto ciò che fai è perduto” che in dialetto consente la rima. Una volta gliel’ho anche detto, al barista, ma poi c’ho messo qualche giorno a riprendermi da questo eccesso di socializzazione alla quale non sono abituato. E allora ho ripreso a non rispondere. Continua a leggere
Il gigante è la bambina
Uno. Se fossero una sagoma, potrebbero essere il gigante e la bambina, il gigante buono e la bambina che lo guarda, che guarda verso l’alto. Ma non sono una sagoma e io sono qui vicino a loro e posso guardarli e vederli bene: sono una mamma e il suo bambino, una mamma minuscola mamma e un bambino gigante con la barba. Si guardano e lei, per accarezzarlo sulla guancia, si alza sulla punta dei piedi e tende il braccio. Si guardano e non parlano ma si dicono un sacco di cose. Lui sta partendo e lei vorrebbe infilarsi nella enorme valigia che parte con lui. Continua a leggere
L’ultimo a partire
L’ultimo a partire, in questa famiglia, è il figlio più piccolo. Il figlio più piccolo cresce più in fretta degli altri e, anche se parte per ultimo, parte prima degli altri. Sfrutta la scia, incassa la rendita di posizione, la sua postura è più ergonomica, gli avversari sono invecchiati. Continua a leggere
Ci vuole coraggio
Era estate e mio figlio non aveva ancora compiuto cinque anni. Stavo lavando le stoviglie quando lo vidi arrivare dal tinello della veranda alla mia sinistra: calcolai che mi sarebbe passato alle spalle per andare dall’altra parte della casa. Mi girai, allora, per guardarlo passare e, abbassandomi, gli proposi un abbraccio. Lui si scansò e proseguì il suo tragitto. Io ripresi a lavare le stoviglie. Continua a leggere
Ho visto gruppi (giochi d’agosto)
A volte penso che la più grande ingenuità della mente umana sia la sua grande fiducia nella mente umana. Non è che la mente non funzioni in assoluto, ci mancherebbe, è che spesso, più spesso di quanto si possa immaginare, la mente mente. E siccome la mente avrebbe il compito di distinguere tra vero e falso, che sia la mente a mentire è un problema serio. Con buona pace del paradosso del mentitore, che dovrebbe essere sbrogliato proprio dalla mente che, invece, a sua volta, mente. Dunque, ricapitolando, il marchingegno più incredibile che esista, la mente umana, ha una ingenua fiducia in se stessa e per via di questa ingenua fiducia in se stessa non si accorge di quanti errori commetta, di come spesso sia poco credibile. Incredibile, appunto. Continua a leggere
Siete qui, vicino a me
C’è un figlio a San Donato. È in ansia e guarda il bus andare via. Vorrebbe riavvolgere gli ultimi minuti, abbracciarlo invece di rimproverarlo, anche stare in silenzio, magari, e guardarlo negli occhi. E tenergli la mano. Continua a leggere
È qui, vicino a me
C’è una mamma a Copertino. Che sta aspettando il figlio che oggi torna a casa per l’estate e mentre aspetta cucina, non cucina e basta, cucina le cose giuste per il figlio che oggi torna a casa per l’estate. Continua a leggere
L’odio, il corpo e la colpa (prima parte)
Uno. Non passa giorno che qualcuno non faccia commenti sulle mie dimensioni: parenti, amici, conoscenti, perfetti estranei. Si va dalla battuta scontata al consiglio premuroso: il comune denominatore è l’inopportunità. In genere non replico, precisamente faccio finta di non sentire, al limite ammicco molto pazientemente qualche frase di circostanza. Raramente considero con attenzione l’argomento. In ogni caso giudico e classifico. Negativamente. Le questioni che riguardano il corpo hanno sempre a che fare con l’identificazione. Continua a leggere
Curare per curarsi
Una delle cose di cui più mi occupo è rispondere alla domanda “che cosa si sta facendo mentre si sta facendo qualcosa?”. Che è simile alla domanda “di cosa si sta parlando mentre si sta parlando di qualcosa?”. Continua a leggere
Aereo prende, aereo dà
All’epoca lavoravo su La coscienza di Zeno. E non solo perché L’ultima sigaretta descrive, in una maniera che a me sembrava magistrale, gli autoinganni della dipendenza. Continua a leggere
Claudia, che può zoppicare
Ieri sera ho cancellato dalla mia rubrica telefonica alcune decine di numeri e di persone. Poco meno di novanta. Come un intervento igienico, a volte con criterio ma non sempre. Ho cancellato nomi e persone, non nomi di persone, perché i nomi non sono parole, sono persone. Continua a leggere
Date da mangiare al vostro elefante
Di questa storia esistono molte versioni. Questa è la mia. Un ricco signore chiamò a sé i suoi tre figli e diede loro il suo testamento chiedendo di tenerne rigorosamente conto dopo la sua morte. Arrivò il giorno. I tre figli aprirono il testamento e scoprirono che queste erano le disposizioni: al primogenito spettava metà del patrimonio, al secondogenito spettava un terzo del patrimonio e al terzogenito spettava un nono del patrimonio. Arrivò il momento di procedere alla divisione di quella parte del patrimonio consistente in elefanti. Gli elefanti erano 17 e al primogenito spettava la metà: 17 diviso 2 fa 8 e ½. I fratelli furono perplessi (in realtà, impararono in quel momento quello che molti anni dopo, e a fatica, avrebbero imparato anche molti consulenti d’azienda e cioè che se dividi un elefante in due non hai due piccoli elefanti ma un elefante morto). Continua a leggere
Pane, pomodoro e tanto sacrificio
Camminando sul lungomare, a pochi metri dall’acqua, mentre tento di tenere insieme l’odore della salsedine e le sfumature dei colori del mare, operazione per me quasi impossibile essendo io privo di qualunque capacità sinestetica, da un balcone al primo piano mi arriva l’urlo devastante di una giovane mamma. Continua a leggere
Pezzo-non-pezzo
Mi sono svegliato pensando ai tanti articoli che, per questo blog, ho iniziato e mai finito o finito e mai pubblicato: Ieri sera mi sono addormentato in giardino, Il corpo e la colpa, Le tette della casa, Odio stupidità e amore, Claudia che può zoppicare, Date da mangiare al vostro elefante, Telemaco e i neomelodici e poi tanti pezzi sparsi, parole messe insieme per necessità più che progetti veri e propri. Continua a leggere
Un uomo da marciapiede
Mi chiamo Felice, sono orfano e bipolare. Più orfano che bipolare. Continua a leggere
Negli scogli e nelle chianche (a Zizì)
L’ultima cosa ce l’hai detta con gli occhi chiusi e con un filo di voce. Sembravi parlare da solo o riferirti a un interlocutore immaginario. Ma a noi era chiaro che stavi parlando con noi, anche se fino a un secondo prima sembravi chissà dove e con chi. Continua a leggere